A cura di Giancarlo Perini
La determinazione del punto nave è sempre stato uno dei problemi fondamentali della navigazione, sia per la necessità antica di ritrovare i luoghi in cui si era già stati a rapinare o a mercanteggiare con profitto (le due cose andavano sempre tranquillamente di pari passo) sia per quella di evitare ostacoli precedentemente localizzati.Va a Talete di Mileto (634-548 a.C. circa) il merito di aver lasciato testimonianza storica di quella particolarità che rende unica e insostituibile la stella Polare e ne consente l’utilizzo anche nella maniera più empirica.Fu il primo a lasciarne testimonianza ma molto probabilmente non fu il primo in senso assoluto ad essersene reso conto: i navigatori arabi, non si sa da quando, usavano uno strumento chiamato kamal per determinare la posizione della nave rispetto alla stella polare e di conseguenza rispetto a un punto già noto.

Il kamal era costituito da una tavoletta legata a una sagoletta a nodi, a ogni nodo corrispondeva la latitudine di un porto conosciuto. Si usava prendendo fra i denti il nodo corrispondente al punto di arrivo e, tendendo il braccio, si portava la tavoletta ad “appoggiarsi” sull’orizzonte, se la polare era più alta o più bassa del bordo superiore della tavoletta voleva dire che ci si trovava a una latitudine più a sud o più a nord di quella del porto di arrivo. Ci si trovava invece alla latitudine voluta quando la stella “poggiava” sul bordo superiore della tavoletta. Il sistema permetteva una precisione non superiore alle 25 miglia.

Per quanto ne sappiamo bisogna arrivare al 1460 perché un navigatore europeo usi per la prima volta un qualsiasi strumento per misurare l’altezza di un astro. Forse si trattò della balestriglia: un’asta graduata munita di due o tre tavolette scorrevoli e molto simile nell’uso al Kamal difatti anche in questo caso la tavoletta doveva “coprire” lo spazio fra l’orizzonte e l’astro, il valore dell’angolo si leggeva sull’asta.

O forse fu un quadrante. Il quadrante del marinaio era uno strumento molto semplice, costruito per poter essere usato anche da persone rozze e poco istruite quali erano i navigatori dell’epoca. Consisteva in un quarto di cerchio graduato sul lato curvo da 0° a 90° e di due mirini a foro di spillo su uno dei lati rettilinei. Dal vertice pendeva un filo a piombo; i mirini si allineavano alla stella e si leggeva l’altezza nel punto in cui il filo tagliava la scala.

L’astrolabio era senz’altro migliore ma, era costruito per essere usato sospeso a una qualche asta; utilizzava cioè, come il quadrante, l’orizzonte artificiale creato dalla perpendicolarità. Entrambi erano sogùgetti a errori di misurazione causati dai movimenti della nave; un buon navigatore confrontava, non appena possibile, le rilevazioni fatte a bordo con rilevazioni fatte sulla terraferma. Queste ultime erano sempre indubbiamente più precise.

Ad ogni modo il calcolo della latitudine, una volta capito il suo rapporto diretto con il sole e, nell’emisfero nord, con la stella polare non ha mai più rappresentato una difficoltà. Per secoli i vari Colombo, Magellano, Caboto ecc. se ne sono andati in giro per il mondo, e senza perdersi, avendo a disposizione solo una latitudine sufficientemente precisa e la stima della velocità. Stima che per altro veniva falsata nei rapporti ufficiali (soprattutto in quelli portoghesi e spagnoli) in modo da ingannare le eventuali “spie industriali”. Anche servendosi dei sistemi più sofisticati disponibili oggi è praticamente impossibile ricostruire con esattezza, proprio per la mancanza di dati affidabili, i percorsi dei loro viaggi. Oggi, anche se reso obsoleto dai modernissimi sistemi satellitari, lo strumento più efficiente per rilevare i dati necessari al calcolo del punto nave è il sestante
